Conosciamo tutti il Fridays for Future, l’appuntamento che periodicamente riunisce gli studenti di tutte le età nelle piazze delle città europee con un obiettivo preciso: chiedere ai governi un impegno concreto per il clima, una politica economica più attenta all’ambiente e al consumo delle risorse del nostro pianeta, un cambiamento radicale per il futuro.
Un cambiamento che inizia dalla vita di tutti i giorni, dalle coscienze dei cittadini, ma richiede soprattutto la trasformazione dell’economia mondiale, mediante il passaggio da un modello lineare ad un modello circolare.
Adottare un approccio circolare significa rivedere tutte le fasi della produzione e prestare attenzione all’intera filiera coinvolta nel ciclo produttivo.
Il settore industriale non può esimersi dall’impegno per il clima e l’ambiente: ogni anno, infatti, con il sovrasfruttamento delle risorse della Terra, consumiamo il nostro capitale naturale, che costituisce anche la base del nostro benessere e del nostro sviluppo. Ecco perché diventa un’urgenza sempre più incalzante intraprendere la strada dello sviluppo sostenibile.
Un’economia verde, a basse o nulle emissioni di carbonio e circolare nell’uso delle risorse, sta diventando un buon affare che attira un crescente interesse anche degli investitori, generando un fiorire di nuove iniziative finanziarie e di maggiore qualificazione di quelle in corso.
Ma cerchiamo di capirne di più, partendo dall’analisi del concetto di Economia circolare.
Contents
- L’Economia Circolare – Che cos’è?
- L’Economia Circolare in Italia
- I vantaggi dell’economia circolare
- L’Economia Circolare – 3 modelli virtuosi italiani
- 1. Orange Fiber, l’arancia si indossa
- 2. Ecoplasteam, il riciclo del tetrapak
- 3. Aquafil, il nylon dagli oceani
- Economia circolare e innovazione sostenibile: la tua esperienza
L’Economia Circolare – Che cos’è?
L’economia verde (green economy) è un modello teorico di sviluppo economico che prende in considerazione, oltre ai benefici (aumento del Prodotto Interno Lordo), anche l’impatto ambientale, cioè i potenziali danni ambientali prodotti dall’intero ciclo di trasformazione delle materie prime a partire dalla loro estrazione, passando per il loro trasporto e trasformazione in energia e prodotti finiti, fino ai possibili danni ambientali che produce la loro definitiva eliminazione o smaltimento.
Questa analisi bioeconomica propone come soluzione misure economiche, legislative, tecnologiche e di educazione pubblica in grado di ridurre il consumo d’energia, di rifiuti, di risorse naturali (acqua, cibo, combustibili, metalli, ecc.) e i danni ambientali.
Soluzioni che promuovono un modello di sviluppo sostenibile attraverso l’aumento dell’efficienza energetica e di produzione che produca a sua volta una diminuzione della dipendenza dall’estero, l’abbattimento delle emissioni di gas serra, la riduzione dell’inquinamento locale e globale, compreso quello elettromagnetico, fino all’istituzione di una vera e propria economia sostenibile a scala globale e duratura servendosi prevalentemente di risorse rinnovabili (come le biomasse, l’energia eolica, l’energia solare, l’energia idraulica), e procedendo al più profondo riciclaggio di ogni tipo di scarto domestico o industriale evitando il più possibile sprechi di risorse.
L’Economia Circolare in Italia
Ma oggi le imprese investono nella green economy? Ebbene sì, perché l’economia sostenibile conviene: stimola l’innovazione, migliora il lavoro, apre mercati di consumatori esigenti e sensibili, rafforza insomma la competitività di un’azienda.
La crisi che stiamo vivendo ci spinge a pensare a soluzioni alternative, a rimodulare i nostri meccanismi di produzione, distribuzione, consumo. La green economy può essere una risposta per combattere non solo la crisi economica per le aziende, ma prevede risvolti benefici anche per l’occupazione: si ipotizzano quasi 3 milioni di green jobs, il 13% dell’occupazione complessiva nazionale.
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Già oggi esiste un’Italia che, per dinamiche spesso non collegate a leggi o a norme, affronta la sfida della crisi climatica: secondo il rapporto GreenItaly della Fondazione Symbola e di Unioncamere sono 345 mila le imprese che negli ultimi cinque anni hanno scommesso sulla green economy e hanno investito in prodotti e in tecnologie green per ridurre l’impatto ambientale, risparmiare energia e contenere le emissioni di CO2.
Non tutti sono consapevoli che in molti settori, dall’industria all’agricoltura, dall’artigianato ai servizi, dal design alla ricerca, il nostro Paese è protagonista in Europa nel campo dell’economia circolare e sostenibile. Siamo, ad esempio, primi in Europa come percentuale di riciclo dei rifiuti prodotti. Siamo il primo Paese in Europa per fatturato pro-capite nel settore dello sviluppo dei prodotti basati su processi biologici, come le bioplastiche.
Cosa differenzia le imprese ecofriendly italiane? Il Rapporto Symbola spiega che le imprese di questa GreenItaly hanno un dinamismo sui mercati esteri nettamente superiore al resto del sistema produttivo italiano: con specifico riferimento alle imprese manifatturiere, quelle che hanno segnalato un aumento dell’export nel 2018 sono il 32% fra chi ha investito nel green contro il 26% relativo al caso di quelle che non hanno investito.
Queste imprese inoltre – insiste il Rapporto Symbola- innovano più delle altre: il 79% ha sviluppato attività di innovazione, contro il 43% delle non investitrici. Innovazione che guarda anche a Industria 4.0: mentre tra le imprese investitrici nel green il 26% ha già adottato o sta portando avanti progetti hi tech, tra quelle non investitrici nella sostenibilità ambientale tale quota si ferma all’11%.
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I vantaggi dell’economia circolare
Sospinto da export e innovazione, il fatturato ne trae robusti benefici: un aumento del fatturato nel 2018 ha coinvolto il 27% delle imprese investitrici nel green (sempre con riferimento al manifatturiero tra 5 e 499 addetti), contro il 22% di quelle non investitrici.
Queste imprese, incluse le PMI (anche se il loro contributo è probabilmente sottostimato a causa della difficoltà di tracciare gli investimenti green nelle aziende meno strutturate) hanno spinto l’intero sistema produttivo nazionale verso una leadership europea nelle performance ambientali.
Eurostat dice che l’Italia con 307 kg di materia prima per ogni milione di euro prodotto dalle imprese fa molto meglio della media Ue (455 kg), collocandosi terza nella graduatoria a ventotto paesi.
Dalla materia prima all’energia, dove si registra una dinamica analoga: siamo secondi tra i big player europei, dietro al Regno Unito.
L’Italia fa molto bene anche nella riduzione di rifiuti. Con 43,2 tonnellate per ogni milione di euro prodotto (1,7 tonnellate in meno del 2008) siamo i più efficienti tra le cinque grandi economia europee, di nuovo molto meglio della Germania (67,6 tonnellate per milione di euro prodotto) e della media comunitaria (89,3 tonnellate).
L’Economia Circolare – 3 modelli virtuosi italiani
Da Nord a Sud d’Italia, possiamo contare su svariati esempi di imprenditori, coraggiosi e visionari, che hanno sostenuto l’importanza di un’economia circolare.
Se sei curioso di conoscere le soluzioni ideate dalle imprese virtuose italiane, ti consiglio di sfogliare l’Atlante italiano dell’economia circolare: un vero e proprio archivio che si propone di censire e raccontare attraverso una piattaforma web geo-referenziata e interattiva, realtà economiche e associative capaci di applicare i principi dell’economia circolare.
Oggi condividerò la storia di tre imprese ecofriendly che ho conosciuto di recente e che mi hanno subito entusiasmato e incuriosito per l’originalità delle proposte di reciclo. Ma ci sono tante realtà imprenditoriali da scoprire!
1. Orange Fiber, l’arancia si indossa
Ogni anno produciamo 700.000 tonnellate di rifiuti derivati dalla lavorazione degli agrumi. E se non li buttassimo?
E’ la domanda che si sono poste due imprenditrici siciliane, che hanno elaborato un brevetto che trasforma gli scarti delle arance in seta.
Ma come è possibile? Il tessuto viene realizzato a partire dal pastazzo d’agrumi, ossia quel residuo umido che resta al termine della produzione industriale di succo di agrumi e che non può più essere utilizzato, ma solo gettato via come un rifiuto.
Grazie alle nanotecnologie con cui realizzare abiti vitaminici, le due imprenditrici sono riuscite a sfruttare le potenzialità del pastazzo per l’estrazione della cellulosa d’agrumi atta alla filatura, trasformando così uno scarto industriale in un materiale di altissima qualità per la moda.
Oggi Orange Fiber è l’unico brand a produrre il primo tessuto sostenibile da agrumi al mondo.
2. Ecoplasteam, il riciclo del tetrapak
Quante volte una confezione di tetrapak ci ha messo in crisi? Dove buttarla, carta, plastica o indifferenziata? Purtroppo è un dilemma che non ha una soluzione univoca perché i diversi Comuni italiani danno indicazioni differenti: chi dice carta, chi dice plastica.
L’ambiguità nella raccolta si riscontra anche nel processo di smaltimento: non si sa infatti come trattare il tetrapak e normalmente finisce in discarica o all’inceneritore. Così finiscono ogni anno in Italia 1,4 miliardi di contenitori alimentari, per lo più di bevande, con tutto ciò che ne consegue in termini di spreco e inquinamento.
Ma un’azienda piemontese potrebbe cambiare il destino del tetrapak: la Ecoplasteam, a Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria, ha fatto partire il primo impianto di riciclo del tetrapak per ricavarne una plastica, l’EcoAllene, perfettamente rilavorabile e a sua volta nuovamente riciclabile.
In Europa si rendono disponibili ogni anno 350mila tonnellate di rifiuti in tetrapak o materiale simile. Si chiamano poliaccoppiati perché sono fatti di uno strato di cartone, con l’aggiunta di un film di plastica e di un film di alluminio: tre materiali che si riciclano diversamente l’uno dall’altro.
Al momento questi contenitori vengono conferiti alle cartiere che riescono a estrarne la cellulosa (lo strato di cartone). Di quello che rimane nessuno è riuscito finora a farci nulla, perché tutti i tentativi di separare il polietilene dall’alluminio sono falliti.
E qui subentra l’idea semplice e rivoluzionaria di Ecoplasteam: invece di separare i due componenti, essi vengono lavorati insieme in un processo di riciclo meccanico simile a quello della normale plastica. Alla fine si ottengono granuli di polietilene e alluminio con caratteristiche uguali al polietilene, quello che si usa per produrre oggetti come flaconi per detersivi, confezioni dei cosmetici e per tante altre forme di packaging non alimentare.
L’EcoAllene ha destato l’interesse di grossi gruppi industriali che stanno testando il materiale nelle loro linee produttive e che hanno intenzione di passare ai prodotti green.
Il progetto è piaciuto molto al Corepla, il consorzio che in Italia si occupa della raccolta e del riciclo degli imballaggi in plastica, tanto che ha premiato Ecoplasteam nella competizione “Call for Ideas” per favorire l’estensione del progetto di riciclo anche ad ulteriori tipologie di imballaggi poliaccoppiati, come per esempio le capsule del caffè, le confezioni dei biscotti e delle patatine.
3. Aquafil, il nylon dagli oceani
Sui fondali dei mari non ci sono galeoni pirata che nascondono tesori. Troviamo, invece, tonnellate di reti da pesca abbandonate, un rischio per la salute dell’ecosistema marino e degli uomini.
Secondo le Nazioni Unite ogni anno vengono disperse 600.000 tonnellate di reti, che rappresentano il 10% dei rifiuti plastici presenti negli oceani.
I princìpi dell’economia circolare sono stati perfettamente sposati da AQUAFIL, campione mondiale per la produzione di Econyl, il nylon realizzato non da petrolio (che produce anidride carbonica e scarti), ma dal riciclo di materiali giunti a fine vita, tra cui appunto le reti da pesca recuperate dal mare, ma anche tappetti e moquette prodotte nel nord America.
L’azienda produce un filo di poliammide utilizzato in prevalenza (oltre 70%) per fare moquette e rivestimenti per pavimenti, compresi quelli delle automobili. La parte restante della produzione è nylon con cui l’industria tessile realizza abbigliamento tecnico e sportivo.
Aquafil ha investito 140 milioni di euro negli ultimi dieci anni per mettere a punto la tecnologia per rigenerare il nylon; tecnologia che consiste nel riciclo chimico, basato sulla depolimerizzazione, che permette di fare un nuova fibra del tutto identica a quella originale.
La sfida più grande per l’impresa rimane la cosiddetta “logistica inversa”: trovare i rifiuti e organizzare il trasporto. D’altronde la filosofia di un’impresa del riciclo non può essere di aspettare che i rifiuti vengano a te, ma di andare a cercarli.
Oggi, con 3000 dipendenti e 16 stabilimenti in tre continenti, Aquafil è il nono produttore di Nylon al mondo.
Anche se la scelta coraggiosa di abbracciare l’economia circolare non è stata affatto facile: «Abbiamo passato momenti terribili – racconta Giulio Bonazzi, Presidente e AD AQUAFIL – ho avuto collaboratori che mi hanno abbandonato perché non credevano nel progetto.
All’inizio la conversione all’economia circolare costa fatica e soldi, i prodotti sono più cari di quelli convenzionali, ma una volta che si costruiscono le competenze, che gli impianti diventano efficienti e l’economia di scala aumenta, arriva la competitività, con importanti ritorni economici.
Posso dire che rischia di più l’imprenditore che non cambia, che non capisce che il mondo si sta muovendo inevitabilmente verso l’economia circolare».
Parola di imprenditore green.
Economia circolare e innovazione sostenibile: la tua esperienza
In quest’articolo ti ho raccontato la storia di tre imprese italiane che hanno colto le opportunità della green economy. Sono molte però le realtà imprenditoriali, economiche e associative capaci di applicare i principi dell’economia circolare. Ora lascio a te la parola. Quali aziende o startup conosci che utilizzano questo approccio? Ci sono altri casi studio di economia circolare o innovazione sostenibile che vuoi segnalarci? Raccontaci le tue storie ed esperienze nei commenti.