Sui prodotti alimentari, sugli indumenti, sugli oggetti ornamentali, sui prodotti artigianali… quante volte abbiamo cercato un’etichetta, un’incisione con la scritta “Made in Italy”? Un marchio che ci garantisse che il prodotto nelle nostre mani fosse al 100% italiano, frutto di un lavoro artigianale e di qualità.
È uno dei primi brand conosciuti e apprezzati al mondo, il marchio di un saper fare che ci distingue agli occhi degli altri Paesi. Creatività, qualità, che si esprimono principalmente nelle aree dell’abbigliamento, arredamento, automazione meccanica, agroalimentare.
Negli anni il Made in Italy sempre più ha avuto bisogno di definizioni e tutele giuridiche puntuali, regole come riparo da contraffazioni, truffe, concorrenze sleali, da false o fallaci indicazioni d’origine che inducono in errore i consumatori.
Ma cosa significa quella dicitura che pur tutti pronunciamo con orgoglio? Quando è lecito apporla sui prodotti? I confini dipendono dal settore in oggetto e sono individuati da una normativa che comprende diversi testi. Cos’è allora “Made in Italy“? E cosa “100% Italia”?
In questo articolo cercheremo di dare una definizione di Made in Italy, partendo da alcune normative comunitarie; vedremo come il marchio italiano per eccellenza ha saputo affrontare e superare la crisi economica dovuta alla pandemia e analizzeremo le possibili leve di sviluppo per l’export.
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Made in Italy: definizione e normative principali
Applicando le regole previste dal Codice Doganale Comunitario Aggiornato (Regolamento CE 23/04/2008 n° 450 – art. 36 – sull’origine doganale non preferenziale delle merci) un prodotto può essere considerato di origine italiana (in senso doganale) e contenere, quindi, l’indicazione “Made in Italy”, quando è stato interamente realizzato in Italia o se in Italia ha subito l’ultima trasformazione sostanziale.
Quindi se anche tutte le parti del prodotto, dopo essere state materialmente fabbricate all’estero, vengono successivamente assemblate in Italia è, comunque, consentito l’uso del “Made in Italy”.
Il D.L. n. 35/05, convertito nella Legge n. 80/05 ha rafforzato la tutela giuridica del marchio “Made in Italy”: il pregio maggiore di questa normativa consiste nell’aver esteso le sanzioni contenute nella Legge Finanziaria del 2004, che si limitava alle “false e fallaci indicazioni di provenienza“, anche alle indicazioni di origine.
Ma tu ti starai chiedendo: ma origine e provenienza non sono sinonimi? Dove sta la differenza?
Ebbene no, non sono la stessa cosa.
L’origine di un prodotto è l’indicazione del luogo in cui la materia prima è nata o è stata allevata/coltivata/pescata.
La provenienza indica, invece, l’ultimo stabilimento nel quale il prodotto è stato manipolato e/o stoccato.
Ti faccio subito un esempio: carne bovina con origine irlandese e provenienza olandese. In questo caso il bovino sarà nato in Irlanda, ma macellato in Olanda.
La normativa italiana ha compiuto un ulteriore passo con il Dl 135/2009 (decreto Ronchi, convertito nella legge 166/2009), finalizzato a distinguere chi produce interamente – meglio, esclusivamente – in Italia e chi invece compie solo l’ultima trasformazione (o lavorazione) sostanziale sulla merce o sul prodotto. È stato precisato che costituisce fallace indicazione l’uso del marchio con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine italiana, a meno che questo non sia accompagnato da indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera del prodotto.
Made in Italy per il settore tessile e pelletteria
È poi giunta la legge 55/2010 (legge Reguzzoni), che riguarda i prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri.
Per ogni settore merceologico di riferimento, vengono individuate dalla legge le specifiche fasi di lavorazione. Ad esempio, nel settore della pelletteria si distinguono: la concia, il taglio, la preparazione, l’assemblaggio e la rifinizione.
La legge richiede la tracciabilità del luogo di origine di ciascuna delle fasi di lavorazione, per identificare l’impresa, qualificare la produzione, offrire informazioni ai consumatori.
Il marchio “Made in Italy” è allora utilizzabile solo per prodotti finiti, le cui fasi di lavorazione (specificate dalla stessa legge per ognuno dei tre settori in esame) siano state svolte prevalentemente sul territorio nazionale. In particolare, recita la norma, l’indicazione è permessa se «almeno due delle fasi di lavorazione per ciascun settore sono state eseguite nel territorio medesimo e se per le rimanenti fasi è verificabile la tracciabilità».
Resta da vedere se le due fasi di lavorazione da compiere in Italia integrino la “lavorazione sostanziale” che secondo il Codice doganale definirebbe il prodotto italiano. C’è infatti un disallineamento rispetto a quanto previsto dal Codice Doganale Comunitario, e i decreti attuativi di questa legge sono stati bloccati in sede comunitaria.
Insomma, dal punto di vista normativo, la strada per tutelare il Made in Italy è ancora lunga…
Differenza tra Made in Italy e 100% Made in Italy
Ma per chi cerca un prodotto che sia completamente “Made in italy”, dalla sua ideazione alla realizzazione? E perché non premiare quelle aziende che hanno mantenuto la produzione sul territorio italiano e non sono ricorse alla delocalizzazione?
Semplificazione e trasparenza nelle norme internazionali e comunitarie consentirebbe una maggiore tutela del marchio di origine, con vantaggio dei consumatori, ma anche e soprattutto di quelle piccole e medie imprese che rappresentano il tessuto industriale del nostro Paese e che intendono mantenere o riportare la loro produzione sul territorio nazionale.
Con la Legge n. 166/09 è stato introdotto un nuovo marchio di origine: il “100% Made in Italy”.
Mentre del Made in Italy possono fregiarsi tutti i prodotti per i quali sia avvenuta in Italia l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, il “100% Made in Italy” è riservato esclusivamente ai prodotti per i quali il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono avvenuti esclusivamente sul territorio italiano.
Export post pandemia: il Made in Italy continua a funzionare bene
È ancora una volta il Made in Italy, la forza della manifattura nazionale sui mercati internazionali, a portarci fuori dalla crisi, consentendo alle aziende di saturare le proprie linee produttive ritrovando in tutto o in grandissima parte i volumi persi nel corso della pandemia.
Dopo una partenza in sordina nel primo bimestre, già il mese di marzo mostra una prima svolta, con Germania e Francia ad aumentare gli acquisti di Made in Italy di oltre il 30%, traino diffuso a quasi tutti i mercati che produce 28 punti di crescita globale in termini tendenziali.
Trend che prosegue e si rafforza anche ad aprile, come testimoniato dalle vendite extra-Ue. Più che raddoppiate rispetto al disastrato analogo mese del 2020 ma in realtà andate anche ben oltre i valori di aprile 2019, lanciando i volumi 2021, se il passo attuale venisse confermato (+17,4% sui mercati extra-Ue nel primo quadrimestre), verso il nuovo record storico.
Esito di un recupero solido perché corale, guidato dalla Cina e dagli Stati Uniti ma del tutto robusto anche in Europa, come preannunciato dal balzo di 82 punti delle vendite verso il Regno Unito.
Come risultato, nelle casse delle aziende in un solo mese sono arrivati 11 miliardi in più rispetto a quanto accaduto nel 2020.
I dati nell’immagine qui sopra mostrano una tendenza di buona crescita per l’export italiano nella prima parte di quest’anno.
In questo momento, guardare all’estero è una possibilità importante per le imprese italiane, sia per la creazione di relazioni commerciali sia per il mantenimento di un certo livello di fatturato.
Made in Italy post pandemia: i settori in crescita
Dal punto di vista settoriale, dopo il boom di prodotti elettronici in inverno per attrezzarsi con lo smart working, nel 2021-2022 l’attenzione potrebbe spostarsi sul comfort della persona (cibo e vino) e della casa (design e illuminazione), su un terreno di gioco dove il Made in Italy eccelle.
Si rafforzano nuovi temi che condizioneranno il commercio estero sia dei beni di consumo sia di quelli d’investimento:
- Beni di consumo
Un ritorno all’essenziale e ad aspetti salutistici favorirà nel Made in Italy l’Alimentare e l’Arredo (rispettivamente +8,5% e +8,4% la crescita nel 2021) ma anche un recupero, rispetto alla flessione del 2020, per il Sistema Moda, più legato alla socialità (+6,7% la variazione attesa nel 2021). Gli aspetti salutistici dei consumi, per esempio, risulteranno premianti anche dopo il superamento della crisi sanitaria, mantenendo la filiera agroalimentare tra quelle più attrattive.
Tra i settori collegati alla mobilità, dopo la forte caduta del 2020 la domanda ripartirà più veloce nell’Automotive - Beni di investimento
Si vedrà una crescita della Meccanica, primo settore dell’export nazionale (+6,8% la previsione del 2021 e un tasso di sviluppo poco sopra il 5% nel 2022), e dell’Elettronica (+8,2%), comparto che ha mostrato una delle migliori tenute già durante la fase più acuta della crisi
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Le future leve di sviluppo del Made in Italy
Sebbene i dati sull’export italiano siano senz’altro incoraggianti, si sa, mai adagiarsi sugli allori!
Come ci ha insegnato questa pandemia, tutto può cambiare improvvisamente: i mercati, la geografia economica, le modalità di produzione, le abitudini dei consumatori, la struttura aziendale etc…
Occorre quindi definire una strategia futura nel medio-lungo periodo, individuare lacune e fragilità che possono ostacolare la crescita dell’export Made in Italy e investire risorse in tutte quelle misure che mantengono saldo il primato della qualità italiana sul podio economico mondiale.
Su quali leve puntare dunque?
1. Strategia tattica nell’espansione dei mercati
Secondo gli specialisti è importante acquisire maggiore competitività nelle principali economie di sbocco e nelle venti “geografie prioritarie” in un’ottica di opportunità nel medio-lungo periodo, verso le quali le esportazioni italiane cresceranno complessivamente oltre il 5% in media annua a partire dal 2021.
Quali Paesi presidiare? Germania e Svizzera, USA, Cina e Russia, ma anche Corea e Singapore. Questi Paesi hanno saputo fronteggiare l’emergenza prima o meglio degli altri ed è stato possibile ripristinare i canali di vendita.
Ma il quadro è in continuo mutamento e la cautela è d’obbligo. Proprio per questa ragione le imprese devono avere un atteggiamento tattico, tenendosi pronte a correggere il tiro in caso di necessità, spostandosi verso altri mercati.
2. Digital trasformation
Nell’era post-COVID il consumatore prediligerà una elevata digital customer experience. Secondo la Global Consumer Insight Survey 2020 di PwC il 79% dei consumatori acquista online e di questi un consumatore su cinque fa shopping esclusivamente online.
Le imprese riconfermeranno il coinvolgimento del digitale, potenziando i servizi di assistenza e vendita online.
Dall’ultima indagine di Promos Italia è emerso che quasi il 70% delle imprese intende aumentare le vendite all’estero tramite piattaforme online. Questo testimonia che sempre più imprenditrici ed imprenditori hanno compreso l’importanza del digitale per intraprendere con successo i loro processi di internazionalizzazione.
Insieme alla spinta green, la trasformazione digitale rappresenta per le imprese italiane la leva su cui puntare per fare ripartire il Made in Italy nel mondo. Ad oggi solo il 10% delle PMI italiane vende online, rispetto al 18% della media europea.
La pandemia ha rafforzato l’approccio ai social media: canali digitali per eccellenza dedicati allo storytelling della marca, capaci di generare flussi.
Su queste applicazioni digitali, oltre al prodotto, è importante raccontare “l’invisibile del Visibile”: Made in Italy, Artigianalità e Savoir Faire sono stati, e sono tuttora, elementi chiave da comunicare poiché caratterizzano il Dna del prodotto, rafforzano la sua percezione a livello digitale e sono in grado di generare interesse nel consumatore potenziale e rafforzare quello del cliente già acquisito.
Lo sviluppo di una digital customer experience sempre più integrata con la rete retail consente agli appassionati di visionare in qualsiasi momento (e ovunque nel mondo) un’ampia selezione delle creazioni.
3. Blockchain a tutela del Made in Italy
L’apertura alla competizione dei mercati globali pone il brand Made in Italy nella condizione di dover assicurare la massima trasparenza e tracciabilità. E la piccola e media impresa ha oggi il forte bisogno di un sostegno sistemico per poter migliorare la trasparenza e la tutela dei propri marchi, sotto molteplici punti di vista, sia all’interno della filiera di appartenenza sia nei confronti dei consumatori finali.
Per migliorare e rendere più sicuri i processi produttivi e creare nuove opportunità di business le PMI italiane, stanno ricorrendo sempre di più all’utilizzo della tecnologia Blockchain, con indubbi vantaggi in termini di aumento della competitività sui mercati internazionali.
Di fronte a uno scenario che mette in luce una frammentarietà di sistemi, approcci e iniziative, la Blockchain mette a disposizione caratteristiche da paradigma di riferimento con cui garantire la standardizzazione, l’immutabilità e l’autenticità di dati e documenti, la loro sicurezza, la riduzione dei contenziosi sulle transazioni e l’automazione dei processi, con un deciso miglioramento della produttività complessiva.
Dal punto di vista tecnico, diversi sono stati i tentativi attuati per arginare il fenomeno della contraffazione (diffusa soprattutto per i prodotti agroalimentari), ma nessuno sembra aver apportato una soluzione concreta. Al contrario, la tecnologia Blockchain sembra aver raggiunto una soluzione definitiva che potrà ribaltare la situazione: completa trasparenza lungo l’intera filiera produttiva e commerciale, la piena decentralizzazione (così da non dover dipendere da nessuna autorità centrale e garantire quindi la piena indipendenza), sicurezza dei dati contenuti e riportati nella rete e, soprattutto immutabilità dei dati, proprio per evitare che i soggetti senza titolo possano spacciare prodotti esteri come prodotti in Italia.
Numerosi sono i progetti nati proprio per risolvere la problematica della tracciabilità.
Ad esempio, in alcune catene produttive agricole, grazie alla tecnologia Blockchain, ogni passaggio, dalla materia prima fino al prodotto finito, viene tracciato con tale tecnologia, in modo tale che il consumatore finale con un semplice codice QR riesce ad individuare esattamente il percorso che ha compiuto il prodotto. Avendo così la piena garanzie di quanto acquistato.
Esempi simili li possiamo rintracciare nel settore del caffè, dove singole aziende hanno raccolto tutti i dati della propria filiera in una Blockchain che garantisce la rintracciabilità di ogni singolo passaggio.
Se sei un nostro fedele lettore, saprai che abbiamo già incontrato la tecnologia Blockchain, applicata però alla certificazione delle competenze. Ti sei perso il nostro articolo? Niente paura, eccolo qui: Blockchain al servizio delle competenze: la Formazione al tempo del COVID-19
4. La Blockchain per la tracciabilità del Made in Italy: il progetto del MISE con IBM
Difesa dell’eccellenza dei nostri prodotti sui mercati internazionali, lotta alla contraffazione e sostegno alla competitività delle imprese manifatturiere sfruttando il potenziale abilitante del digitale: è questa la finalità del progetto pilota “La Blockchain per la tracciabilità del Made in Italy”, che vede il Ministero dello Sviluppo Economico in prima fila con il supporto di IBM e la collaborazione di associazioni e aziende della filiera del tessile italiano.
Lo studio di fattibilità del MISE è partito dall’individuazione delle principali problematiche della filiera da cui, applicando metodologie innovative come il design thinking, sono emerse sia le esigenze più significative – si va dalla semplificazione delle interazioni all’accesso immediato alle informazioni, dalle logiche di integrazione con i gestionali delle imprese alla semplicità d’uso – sia le proposte di miglioramento dei processi di tracciamento interfiliera.
Con IBM, la fase di sperimentazione ha quindi prodotto un primo prototipo basato su piattaforma Blockchain, messa a disposizione delle aziende partecipanti via Cloud.
Come caso di riferimento è stato scelto quello di un’azienda che emette al suo fornitore un ordine per un lotto di lino, verifica che la fibra sia certificata come biologica e ne realizza delle camicie per un particolare brand. Con un obiettivo di fondo: migliorare la tracciabilità, ostacolare la contraffazione e offrire al consumatore finale tutte le informazioni necessarie per un acquisto consapevole.
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Export post pandemia: le misure del governo a sostegno del Made in Italy
Malgrado gli effetti della pandemia sanitaria sull’economia e, in particolare, nel settore delle esportazioni, secondo la Commissione Europea, nel 2021 vi sarà una progressiva ripresa del commercio mondiale.
Il Governo prevede per l’anno in corso di continuare a puntare sulle direttrici definite nel Patto per l’Export, ovvero:
- Attività di natura formativa/informativa e alle piattaforme digitali.
I membri della Cabina di Regia hanno concordato per la fase prossima l’avvio di una campagna straordinaria di comunicazione, multilingua e multicanale – attraverso un ampio utilizzo dei canali digitali in aggiunta ai media tradizionali – per sostenere le esportazioni italiane e l’internazionalizzazione del sistema economico nazionale nei settori maggiormente colpiti dalla crisi post Covid-19.
La strategia di comunicazione mira a promuovere le eccellenze italiane e le sue pluralità di forme di impresa, nei settori tradizionali del “Made in Italy” e nei comparti in cui la leadership produttiva e tecnologica italiana non è sufficientemente conosciuta. - Sviluppo di un programma di formazione dedicato alle piccole e medie imprese su competenze digitali, sugli strumenti di e-commerce e sull’internazionalizzazione, con particolare attenzione al rafforzamento delle capacità in questi ambiti anche per le realtà imprenditoriali del Mezzogiorno.
- Realizzazione di nuove iniziative di promozione integrata in grado di omogeneizzare la dimensione economico-commerciale, la proiezione della cultura italiana all’estero e la valorizzazione delle nostre eccellenze nel settore scientifico e dell’innovazione e dell’agroalimentare, in un’accezione nuova di “Italia in 3D” capace di diffondere presso le Autorità e le popolazioni straniere un’immagine aggiornata, corretta e completa del nostro Paese e delle sue molteplici affermazioni in più settori e tipologie di impresa.
Pertanto, verranno potenziati gli accordi già in vigore con le principali piattaforme straniere, con priorità assegnata alle piattaforme B2B, a più alto valore aggiunto e con maggiori potenzialità multisettoriali.
L’Agenzia ICE (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane) fornirà servizi mirati alle imprese che si avvarranno di tali piattaforme, per migliorarne le performance a partire da un’analisi dei risultati della loro partecipazione alle vetrine virtuali sui marketplace. - Sostegno alle start-up ed i settori tecnologicamente innovativi nei loro processi di internazionalizzazione, attraverso strumenti mirati di finanza agevolata, anche a valere sul Fondo di Venture Capital, nonché promuovere gli incubatori di impresa in contesti particolarmente vocati allo sviluppo dell’innovazione, come la Silicon Valley.
Le start-up innovative potranno contare anche sul rifinanziamento del “Progetto Global Startup Program” dell’Agenzia ICE e dell’accompagnamento sui mercati attraverso la partecipazione mirata a eventi globali.
Le iniziative della fase di rilancio prevedono sia la ripresa delle fiere che l’uso delle risorse del piano Next Generation EU, su progettualità legate all’internazionalizzazione, alla “transizione verde” e alla transizione digitale.
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