Quali sono gli elementi salienti della società attuale? In che tipo di società viviamo?
Scusate l’inizio di questo articolo, che può sembrare un “attacco” impulsivo di esistenzialismo o di retorica, ma il porci queste domande è dovuto alla volontà di affrontare una discussione attraverso cui individuare gli elementi base su cui progettare la nostra scuola.
Perché trattando il tema della didattica e dell’innovazione partiamo proprio da qui?
Nel momento in cui è nata la scuola italiana, negli anni tra il 1861 e il 1888, il pedagogista Aristide Gabelli sosteneva che la scuola debba – uso il presente perché ritengo piuttosto attuale la definizione – essere accomodata al tempo: deve, cioè, soddisfare i bisogni dell’utilità sociale e di conseguenza dei singoli. La scuola deve leggere lo spirito del tempo e essere orientata a soddisfare i bisogni.
Contents
- La scuola deve soddisfare i bisogni dell’utilità sociale
- La scuola deve “far bene le teste anziché riempirle”
- L’urgenza è quella di strutturare la didattica per avvicinare il mondo della formazione a quello del lavoro e alla vita
- Le aziende hanno bisogno di competenze di comunicazione e capacità di collaborazione
- Umanesimo tecnologico: La vera richiesta di innovazione è nella capacità di utilizzarla
Le riforme successive si sono manifestate sempre come interpretazione dei tempi e se ne rilevano le inclinazioni e i timori. In origine, nel momento in cui la scuola è nata, l’obiettivo era quello di ridurre e contrastare il diffuso analfabetismo educando all’intelligenza al fine di “far bene le teste anziché riempirle”.
La scuola deve “far bene le teste anziché riempirle”
Il metodo individuato per realizzare tale obiettivo era, a fine dell’800, pratico, induttivo, basato sull’osservazione e sull’esperienza; si individuava inoltre la necessità di dare allo studente un ruolo attivo.
Le caratteristiche del metodo individuato erano ritenute opportune per sottrarre gli individui al dogmatismo (retaggio culturale e dell’ignoranza) che pervadeva la società del tempo.
Si legge in questa indicazione il positivismo del periodo.
Come detto, nei decenni successivi si sono succedute letture, necessità, indicazioni filosofiche e motivazionali che, a saperle leggere, riflettono i periodi e gli eventi storici che hanno caratterizzato la società del ventesimo secolo.
Dunque oggi in che periodo ci troviamo? È necessario che se lo chiedano i professionisti chiamati a delineare e declinare i contenuti e la struttura di una proposta educativa e formativa adatta al nostro tempo.
L’urgenza è quella di strutturare la didattica per avvicinare il mondo della formazione a quello del lavoro e alla vita
Le richieste condivise – abbandonando momentaneamente la filosofia – che sembrano essere più urgenti e chiare sono quelle di strutturare la didattica per avvicinare il mondo della formazione a quello del lavoro (a me piace dire alla vita, non riducendola o identificandola unicamente con l’ambito lavorativo).
Forse per questo negli ultimi anni si rileva una vera e propria esplosione di proposte “innovative” nella didattica, tra cui: didattica per competenze, capovolta, peer education, didattiche metacognitive, didattiche incentrate sul gioco, gamification, laboratori, hackathon, e-learning, learnign by doing, …
Quali sono le necessità che spingono educatori, insegnanti e formatori a ricercare strumenti per coinvolgere, impegnare e stimolare? Qual è il cambiamento in atto che sottende a tali bisogni e che richiede di individuare strumenti per superare criticità di comunicazione, partecipazione e motivazione nei giovani studenti?
Affronteremo gli strumenti, le opportunità, le richieste nei prossimi appuntamenti, ma iniziamo dal condividere alcune riflessioni preliminari.
Le aziende hanno bisogno di competenze di comunicazione e capacità di collaborazione
Le richieste dirette dalle aziende al mondo della formazione riguardano infatti la capacità di trasferire competenze di comunicazione, di lettura del contesto, di Problem solving, di atteggiamento attivo, capacità di collaborazione, efficacia nello svolgimento delle attività.
Un osservatore attento noterà che sono abilità (o meglio competenze), non contenuti: possiamo quindi dire che le aziende (o il mondo del lavoro o se vogliamo il mondo in cui viviamo) richiedono alle istituzioni formative di occuparsi maggiormente del “come”, più che del “cosa”. Tutto ciò è piuttosto logico se pensiamo alla facilità con cui possiamo ottenere informazioni: questo vuol dire che le richieste si spostano dal contenuto alla capacità di ricerca, di individuazione delle informazioni, di utilizzo delle stesse e di capacità di creare delle connessioni o dei ragionamenti.
Mi permetto di fare una analisi: è come se le tecnologie e la grande mole delle informazioni avessero delle dimensioni così grandi da assumere un aspetto minaccioso. Quasi a spingere, ed è un po’ il timore di molti, l’uomo (o il lavoratore) in un angolo, o se vogliamo in uno spazio marginale rispetto a dati, robot, device, sensori, Internet, Internet of things.
Questa marginalità dell’uomo, dell’utilizzatore non edotto, rischia di riportare ad un nuovo dogmatismo (la verità è nella macchina, nella tecnologia o nella rete) e di qui l’avvento e la diffusione delle emozioni di ansia e di impotenza che pervadono soprattutto i giovani.
Umanesimo tecnologico: La vera richiesta di innovazione è nella capacità di utilizzarla
Dietro la richiesta delle aziende e della società di sviluppare capacità di analisi, di valutazione, di elaborazione e rielaborazione, di interazione con gli altri e con le macchine, c’è la richiesta di riportare l’uomo al centro. C’è la richiesta di sostanziare un nuovo Umanesimo basato sulle tecnologie e sulla padronanza della tecnica.
La vera innovazione richiesta dal mondo del lavoro non è sulle tecnologie ma sulla capacità di scegliere, utilizzare e valutare le tecnologie per i processi aziendali.
Quindi, tornando alla domanda iniziale: quali sono gli aspetti che dobbiamo prendere in considerazione per progettare e realizzare una scuola in grado di rispondere alle esigenze e ai bisogni della società e dei singoli?
Da quanto detto l’indicazione di un percorso pratico, induttivo, basato sull’osservazione e sull’esperienza, in grado di costruire un ruolo attivo per lo studente, sembrerebbe proprio una ottima base di partenza.
In questa direzione vanno le indicazioni degli ITS (Istituti Tecnici Superiori), a cui è richiesto di fornire elementi di cultura e una didattica esperienziale e basata sul fare e sul rapporto diretto con le aziende, al fine di sviluppare competenze di analisi e di valutazione. Gli ITS (ma non sono gli unici) sono il fulcro di questo Umanesimo tecnologico.